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ATTACCO RUSSO DEVASTANTE SULL’UCRAINA: ZELENSKY ACCUSA MOSCA DI SCHERNIRE LA PACE

Immaginatevi una notte non illuminata dalle stelle, ma squarciata dal ronzio sinistro di decine di droni. È successo di nuovo, proprio la scorsa notte, sui cieli dell’Ucraina. Un massiccio attacco aereo Ucraina ha visto la Russia lanciare oltre 170 ordigni volanti, tra cui più di 100 dei famigerati droni Shahed, colpendo diverse regioni da Dnipropetrovsk a Kiev, da Sumy a Kharkiv e Khmelnytskyi. Il bilancio iniziale, purtroppo ancora provvisorio, parla di almeno quattro vittime civili e 21 feriti, un triste e crudo promemoria della brutalità che questa guerra Ucraina continua a infliggere senza sosta.

Questo ennesimo episodio del lungo e doloroso conflitto russo-ucraino non è solo un numero freddo nelle statistiche belliche. No, è la realtà tangibile, quotidiana, di chi vive sotto la minaccia costante, un attacco mirato che, oltre a spezzare vite e sventrare case, sembra prendere di mira sempre più spesso anche le vitali infrastrutture energetiche del paese. Pensateci un attimo: è una strategia che getta ombre pesantissime sul futuro immediato e sulla capacità di resilienza ucraina, inserendosi perfettamente in un quadro di attualità internazionale sempre più complesso e carico di tensioni.

La città di Dnipro, in particolare, sembra aver subito il colpo più duro in quest’ultima ondata. Il presidente Volodymyr Zelensky, con parole che trasudano un misto di rabbia e incrollabile determinazione, ha dipinto un quadro davvero desolante:

“Case sventrate, garage polverizzati, una stazione di servizio divorata dalle fiamme… purtroppo registriamo distruzioni in ogni singola regione che è stata attaccata.”

Ma sapete, Zelensky non si ferma alla semplice conta dei danni. Alza la voce, punta il dito direttamente contro Mosca, accusandola senza mezzi termini di farsi beffe degli sforzi di pace della comunità globale, perpetuando quella che lui non esita a definire una deliberata campagna di terrore. E perché mai? Secondo la sua analisi, la risposta è tanto semplice quanto agghiacciante: la Russia “non sente ancora una pressione reale”. Suona come un appello accorato, quasi un grido d’aiuto, affinché la pressione internazionale si traduca finalmente in azioni concrete, non solo in dichiarazioni di circostanza. Dopotutto, è come cercare di domare un incendio furioso con una tazzina d’acqua mentre chi lo ha appiccato continua tranquillamente a gettare benzina sul fuoco, non siete d’accordo?

E come se non bastasse l’orrore degli attacchi diretti, c’è un’altra guerra in corso, forse più subdola ma altrettanto devastante: quella combattuta non solo tra le macerie delle città, ma anche lungo i tubi dei gasdotti e le linee elettriche. Proprio venerdì, la compagnia energetica statale ucraina Naftogaz ha lanciato l’allarme: alcune sue installazioni sarebbero state colpite dai bombardamenti russi, provocando danni a non meglio specificati “impianti di produzione di gas”. Attenzione, non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Stando a diverse fonti ucraine, sono mesi che le infrastrutture energetiche – specialmente quelle legate al petrolio e al gas naturale nelle regioni orientali come Poltava e Kharkiv – finiscono sistematicamente nel mirino di missili e droni. Il risultato potenziale? Una perdita stimata che potrebbe arrivare fino al 40% della capacità produttiva nazionale di gas naturale. Una vera e propria mazzata che preannuncia un inverno ancora più difficile e la probabile, crescente necessità di importazioni.

Ma in questa intricata e dolorosa vicenda della Russia Ucraina, come spesso accade, la storia ha (almeno) due campane. La versione di Mosca, infatti, è diametralmente opposta. Non solo respingono le accuse, ma contrattaccano, puntando il dito contro Kiev per presunti attacchi alle proprie infrastrutture energetiche. L’episodio più eclatante citato dai russi riguarderebbe la distruzione di una stazione chiave del gasdotto vicino alla città di Sudja, nella regione di Kursk – proprio quel gasdotto che, ricordiamolo, trasportava il gas russo verso l’Europa fino a quando il transito non è stato interrotto da Kiev all’inizio dell’anno. Sudja, peraltro, non è un luogo qualunque: è stata al centro di recenti scontri, un punto strategico chiave prima conquistato e poi perso dagli ucraini durante le offensive estive, e infine riconquistato dalle forze di Mosca. Il Ministero della Difesa russo rincara la dose, parlando addirittura di una violazione ucraina di un presunto “armistizio energetico”, e riportando altri attacchi con droni e artiglieria nella regione di Briansk. È fondamentale sottolineare, però, che queste affermazioni incrociate, da una parte e dall’altra, mancano al momento di verifiche indipendenti e attendibili: la nebbia della guerra avvolge anche l’informazione.

Cosa ci resta in mano, dunque, alla fine di questa ennesima giornata di notizie drammatiche? Ci resta la cronaca di un’altra notte di terrore, un vortice soffocante di accuse reciproche che rende sempre più arduo districare la verità nel complesso e tragico scenario del conflitto russo-ucraino. Restano le cicatrici profonde inferte a città come Dnipro, il dolore insanabile per le vittime civili, l’appello sempre più pressante di Volodymyr Zelensky per un sostegno internazionale più tangibile e la crescente preoccupazione per la tenuta delle infrastrutture energetiche. E resta, sospesa nell’aria come una spada di Damocle, la domanda più pesante, quella che tutti ci poniamo: quando finirà questo stillicidio? Quando la diplomazia, magari finalmente sostenuta da una reale ed efficace pressione internazionale, riuscirà a sovrastare il rumore assordante dei droni Shahed e delle bombe in questa estenuante guerra Ucraina?

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