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MYANMAR IN GINOCCHIO: OLTRE 1000 MORTI NEL TERREMOTO, L’UE INTERVIENE CON AIUTI UMANITARI

Allora, mettiamoci comodi e parliamo di qualcosa di serio, ma cerchiamo di farlo con la giusta energia. C’è una situazione critica, una vera emergenza Myanmar, che merita tutta la nostra attenzione. Immaginate per un istante: la terra non smette di tremare sotto i piedi, scossa dopo scossa, con una violenza che lascia senza fiato. È la cruda realtà che ha colpito il Myanmar il 28 marzo, quando un devastante terremoto Myanmar, con una magnitudo terrificante di 7.7, ha gettato il paese nel caos più totale. Una ferita profonda, un evento che segna inesorabilmente.

Non stiamo parlando di una scossa isolata, capite? È stato un vero e proprio sciame sismico, un sisma Asia di proporzioni notevoli, che ha martellato senza pietà, dall’area di Mandalay fino alle colline Shan. E le onde d’urto? Beh, quelle non conoscono confini: si sono propagate arrivando a scuotere Thailandia, Cina, Vietnam, portando paura e, purtroppo, altri danni. Pensate che in Thailandia si sono registrate vittime e persino il crollo di un grattacielo a Bangkok. Riuscite a immaginare la vastità di un disastro simile?

Ora, il tasto dolente: le persone. Le prime stime parlavano di 144 vittime terremoto, un numero già di per sé tragico. Ma gli aggiornamenti forniti dalla giunta militare Myanmar, attualmente al potere, dipingono uno scenario ben più oscuro: si parla di oltre 1.000 morti confermati. E il peggio è che potrebbe non essere finita. Fonti autorevoli come l’USGS (il Servizio Geologico statunitense), basandosi su modelli predittivi, avanzano un’ipotesi agghiacciante: le vittime potrebbero superare quota 10.000. Un numero che fa venire i brividi, senza contare le perdite economiche stimate che potrebbero addirittura superare l’intero PIL annuale del paese. È una vera crisi umanitaria su vasta scala.

Le immagini che ci arrivano sono un pugno nello stomaco: strade squarciate, ponti inutilizzabili, edifici ridotti a un cumulo di macerie. Persino infrastrutture vitali, come un ospedale da mille posti letto nella capitale amministrativa Naypyidaw, sono state gravemente danneggiate. A Mandalay, la seconda città del paese, la disperazione è palpabile: persone comuni, trasformate in soccorritori improvvisati, scavano tra le rovine a mani nude, in una corsa contro il tempo per salvare i propri cari. La mancanza di attrezzature pesanti rende i soccorsi internazionali e locali una sfida quasi insormontabile. La storia di Htet Min Oo, un ragazzo di 25 anni che ha cercato disperatamente la nonna e due zii tra le macerie, ci ricorda la dimensione umana di questa tragedia immane.

“Non so se siano ancora vivi là sotto”

, ha raccontato in lacrime. La speranza, col passare delle ore, si affievolisce.

Di fronte a questa catastrofe, come si è mossa la comunità internazionale? L’Unione Europea non è rimasta a guardare. Ha agito con prontezza, stanziando un primo pacchetto di aiuti umanitari d’urgenza da 2,5 milioni di euro. Fondi vitali, come ha sottolineato la Commissione Europea, destinati a salvare vite e a rispondere ai bisogni primari delle persone più vulnerabili, specialmente sfollati e comunità già colpite da conflitti interni. Ma non è solo una questione economica. L’UE ha messo in campo anche la tecnologia, attivando il suo servizio satellitare Copernicus. Questo strumento potentissimo permette di mappare le aree colpite dall’alto, valutando con precisione l’entità dei danni. Un aiuto fondamentale per indirizzare al meglio i soccorsi e pianificare gli interventi futuri. Tecnologia al servizio dell’uomo, proprio quando serve di più.

L’appello all’aiuto internazionale, lanciato in modo piuttosto insolito dal generale supremo della giunta militare Myanmar, ha trovato ascolto. La solidarietà internazionale si è manifestata in modo corale. Squadre di soccorso e aiuti materiali stanno convergendo da tutto il mondo. La Cina ha inviato un team a Yangon. Russia, India, Malesia, Singapore stanno mobilitando aerei carichi di aiuti e personale specializzato. La Corea del Sud ha promesso un contributo iniziale di 2 milioni di dollari. Persino gli Stati Uniti, nonostante le note tensioni con il regime militare e le sanzioni, hanno garantito il loro supporto. Non è forse un segnale potente che, davanti alla sofferenza umana, le divisioni possono (almeno per un momento) essere messe da parte?

“Continueremo a monitorare la situazione e altri aiuti seguiranno”

, ha dichiarato il Ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, una promessa che fa eco all’impegno di molte altre nazioni.

La strada per la ripresa del Myanmar sarà indubbiamente lunga e in salita. I bisogni sono enormi, l’emergenza è tutt’altro che conclusa. Ma la risposta globale, con l’Unione Europea in prima linea, accende un faro di speranza in mezzo a tanta devastazione. È cruciale non distogliere lo sguardo, continuare a sostenere il popolo birmano con ogni mezzo possibile. La ricostruzione richiederà tempo, risorse e una volontà di ferro, ma il primo, fondamentale passo – quello della solidarietà – è stato fatto.

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